IL SAXOFONO ITALIANO

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di Schittino, Joe

Sonata JS 134

A Pf - 2010 - 17' - Friedrich Hofmeister Musikverlag -

Dettagli opera

Sonata per Saxofono contralto e Pianoforte nei movimenti: 1. Spiritoso; 2. Tempo di Ciaccona; 3. Allegro vivo.
Prima esecuzione il 18/12/2010 in occasione della discussione della tesi di biennio specialistico di II livello in Discipline musicali, presso il Conservatorio di Musica “V. Bellini” di Palermo, da parte di Fabio Carrubba: Fabio Carrubba/Sx e Roberto Alisena/Pf.

Precedentemente reperibile dalle Edizioni Gamma EGA 209.


Commento all'opera

«Carrubba Fabio
Il sassofono: Una evoluzione continua
Tesi di diploma accademico di II livello in discipline musicali, indirizzo interpretativo/compositivo.
Strumento: Sassofono classico
Relatore: Ch.mo Prof. Giuseppe Palma
“Joe Schittino, Sonata JS 134 per sassofono contralto e pianoforte – scheda analitica”
- Periodo di composizione: 5-11 VII 2010
- Dedica “a Fabio Carrubba”
- Edizione: 2011 Edition Gamma, Bad Schwalbach (EGA 201)
- Movimenti: “Spiritoso” (236 miss.); “Tempo di Ciaccona” (106 miss.); “Allegro vivo” (232 miss.)
Il primo movimento, di carattere rapsodico più che propriamente sonatistico, presenta una articolazione formale in tre grandi sezioni, evidenziate da cambi di indicazioni agogiche: “Spiritoso” (miss. 1-87), “Meno” (miss. 88-128), “Vivo” (129-232). A sua volta in ognuna delle tre sezioni è individuabile una sequenza di episodi più brevi, caratterizzati da diverse tipologie di scrittura. Il carattere distintivo di queste sezioni e sottosezioni è la germinazione l’una dall’altra, senza che nessuna sia mai ripetuta in modo testuale, ma in cui una sorta di “memoria” tematica, con variazioni ritmiche, armoniche e timbriche, venga conservata e assicuri l’unità generale del movimento. Nel dettaglio, il primo episodio (miss. 1-16) presenta, nella sua scansione puntata dal sapore vagamente marziale, un percorso armonico che da una settima di terza specie (priva della terza e con la settima al basso), giocando sul rapido passaggio attraverso accordi tonalmente isolabili, ma non riconducibili a un percorso cadenzale specifico, simula un fittizio percorso armonico II-V (in mi minore, miss. 1-4; in la minore con la sensibile abbassata, miss. 5-8; in la minore con la sensibile “tonale”, miss. 9-12; in mi minore/la minore V=I, miss. 13-16). La sensazione tonale che ne deriva è di un continuo fluttuare, mediante il ricorso a gradi intermedi lontani, nella zona armonica di mi/la minore. Alla sostanziale quadratura classica piuttosto rigida di questo primo episodio fa seguito un momento di maggiore libertà fraseologica (miss. 17-26), in cui anzi il fattore predominante risulta quello dell’emiolia: l’andamento ritmico della battuta non corrisponde alla scansione metrica della frase, che è accompagnata da ampi e regolari arpeggi del pianoforte e raggiunge, sempre secondo un processo di reiterazione variata, e con molta ironia, zone tonali lontanissime per mezzo di percorsi del “basso” molto tradizionali come la scala IV-III-II-I (a re bemolle, mis. 20; fa maggio-re, mis. 24; sol diesis/la bemolle, mis. 26). Una modifica nella scrittura pianistica, un sapore vagamente jazzistico nelle armonie e un senso più discendente dell’arcata melodica si rintracciano nella successiva sezione (miss. 27-33), punto di raccordo con l’episodio alle miss. 34-52, nel quale la tessitura pianistica ridiventa rigida, martellata, motoristica, con acuti accordi per terze e quarte giuste collegati secondo slittamenti, mentre al sassofono passano rapidi frammenti di arpeggi. In questo episodio è anche compresa, in funzione di feedback, la breve citazione trasposta di un momento precedente (miss. 39-42); inoltre è qui contenuta l’unica battuta irregolare di tutta la composizione (3/4+1/8, mis. 49). Un fittizio “pedale” di do bemolle prepara il nuovo elemento di raccordo (miss. 52-59), organizzato per alternanza di frammenti di scale, arpeggi e note tenute al sassofono, sostenute dal movimento discendente di accordi arpeggiati al pianoforte. Il successivo episodio (miss. 59-83) è anche il più brillante di questa prima macrosezione, e il primo in cui compaia un gruppo irregolare (doppia terzina di sedicesimi, da mis. 67: tale doppia terzina è l’elemento struttura-le dominante da quel punto fino alla fine della sezione). L’armonia richiama procedimenti jazzistici nell’uso di triadi con la sesta aggiunta, ampliate, trasformate e sottoposte a slittamenti continui, di effetto orchestrale; qui si innestano le volatine brillanti del sassofono, ascendenti e discendenti. Una breve coda (miss. 84-87) affidata al solo pianoforte, che si muove per alternanza di bicordi e note singole su un pedale di mi bemolle, conclude questa prima sezione con una buffa, inaspettata modulazione a un “tranquillo” do minore, secondo una cadenza assolutamente mutuata dalla tradizione. La seconda grande sezione del primo movimento, “Meno”, si presenta con caratteri molto più unitari, essendo in pratica basata sullo sviluppo di una unica idea tematica: non propriamente una melodia quanto una giustapposizione dello stesso intervallo cardine di seconda maggiore, da cui tutto l’episodio scaturisce: la prima esposizione è in mi bemolle maggiore (miss. 88 e sgg.), in cui il sassofono è accompagnato dal pianoforte con morbide figurazioni di arpeggi che attraverso vari procedimenti modulanti conducono a re maggiore (mis. 99): la successiva esposizione, dopo una breve transizione, è affidata al pianoforte (miss. 103-128): questo episodio risulta il più intensamente lirico di tutta la composizione: da notare la singolare scrittura del sassofono, concepito come strumento d’accompagnamento con una scrittura per arpeggi di taglio piuttosto violinistico (miss. 107-120). Il generale climax risulta molto sviluppato e passa attraverso le zone tonali di mi maggiore (mis. 107), si minore (mis. 111), la maggiore (mis. 117), attraversando varie tonalità intermedie per mezzo di accordi aumentati, varie ambiguità enarmoniche e un procedimento di scrittura secondo cui la linea del basso e della melodia tendono a divergere sempre più, creando un senso di spazialità che contribuisce ad aumentare la tensione drammatica di questo episodio (punto culminante mis. 117). Da qui in poi un graduale anticlimax, sempre condotto dal solo pianoforte attraverso un passaggio modulante a mi maggiore (miss. 121-124), porta alla ripresa dell’elemento intervallare-tematico dal parte del sassofono, in funzione di coda (miss. 125-128). Qui si innesta la terza e ultima macrosezione del primo tempo della Sonata JS 134, “Vivo”: a dare il senso di rapidità, di giocosità, di cambio totale di atmosfera, contribuiscono sia il cambio di metro (uno scattante 2/4, misura “piccola” e leggera in confronto col più meditativo 3/4 che era stato il metro dominante fin qui) che il particolare tipo di scrittura pianistica, spiritosa e staccata, che si mantiene in un registro medio-acuto con rare incursioni di passaggio verso le ottave gravi (mis. 140 e sgg.). Gli spunti melodici, affidati prevalentemente al sassofono, presentano la caratteristica già in precedenza riscontrata, ovvero la loro varietà nella similitudine, dovuta al riferimento costante a formule “tradizionali” come frammenti di scale, di arpeggi e di altre figurazioni, permutate e slittate mediante procedimenti armonici apparentemente “tonali” verso zone armoniche non facilmente individuabili. Sostanzialmente questi spunti melodici sono di due nature: una “legata”, con melodia ascendente e discendente e accompagnamento pianistico di duplice forma, per gruppi di accordi e per arpeggi (miss. 131-138); e una “staccata”, più saltellante, in cui anche l’accompagnamento pianistico si fa più accordale e piccolo in termini di esten-sione verticale (miss. 147-151). I due spunti sono variamente alternati fino a mis. 180, quando un particolare evento formato dalla nota lunga del sassofono e da un cluster alla prima ottava del pianoforte, piccolo come agglomerato di suoni e risonante come una piccola, soffocata detonazione (mis. 180) segna il punto di “starter” per una variazione: gli accordi alternati al pianoforte si spostano di ottava verso il grave e la scrittura sassofonistica ridiventa rigida, inquadrata in arpeggi. I procedimenti armonici, finora abbastanza variegati, portano ora verso una più chiara “cadenza” V-I=V (di la bemolle, miss. 193 e sgg.; di do bemolle, miss. 205 e sgg.). Da notare il nuovo feedback costituito dall’inserto delle miss. 200-204, memoria dell’episodio precedente e “variazione nella variazione”. Una lunga coda (miss. 214-236) è posta con funzione di ricapitolazione delle intenzioni espressive più che degli effettivi materiali impiegati in tutto il primo movimento: il climax realizzato è di natura vettoriale nel senso delle altezze piuttosto che dell’intensità dinamica, con spostamento verso l’acuto alle miss. 221-232 e brusca “caduta”, più breve, alle miss. 234-236 – il tutto sostenuto dal tipo di scrittura pianistica per cristalline giustapposizioni di triadi e bicordi appartenenti a diverse tonalità: questa è la cifra generale, di un contesto tonale/politonale in cui il rapporto fra la dissonanza e la consonanza è vissuto più in termini di “orizzontalità”, di percorsi armonici giustapposti e fondamentalmente desueti (naturalmente solo se inquadrati in un tentativo di analisi nel tradizionale contesto del sistema tonale), che di “verticalità”, ossia di urto di accordi di diversa natura e provenienza. L’ultimo gesto sonoro del primo movimento della Sonata JS 134, a questo proposito, è una coppia di accordi senza collegamento: fa maggiore (con la settima minore) e re maggiore (quest’ultima, beffardamente, è stata la tonalità meno presente in tutto il movimento e ora è impiegata come accordo conclusivo!).
Se tanto complessa, articolata e rapsodica è la forma del primo, di tutt’altro genere è il secondo tempo della Sonata JS 134. “Tempo di Ciaccona” è l’indicazione: l’omaggio alla forma per variazioni che nel corso dei secoli ha attraversato i momenti cruciali della Storia della Musica, passando da Bach a Brahms senza mancare di influenzare la forma, così tipica del jazz, dell’improvvisazione nel corso delle jam session, non poteva non essere contenuto nel lavoro di un compositore che di propone di mediare in modo fattivo, e non pretestuoso, fra tradizione e innovazione nei termini di recupero di una sensibilità “antica ma nuova” attraverso il lessico tradizionale, non appesantito da effetti ma semplicemente organizzato in termini di spontanea modernità. Il secondo movimento si articola in una Aria dalla particolare scansione metrica (3/2, 5/2, 3/2, 5/2, 3/2, 5/2, 3/2, 5/2, 3/2, 3/2; vale a dire quattro coppie metriche uguali formate dall’unione del tre col cinque, e una “coda” a sua volta formata da una coppia di metri uguali, tre e tre), in cui il tema di Ciaccona, in la minore/do maggiore, è affidato al sassofono sulle armonie pianistiche arpeggiate, di sapore barocco. Il percorso armonico va dal I al V grado (mis. 4), per attestarsi infine con una cadenza alla dominante (mis. 10) che prepara la successiva variazione. In tutto le variazioni sono sette, e il movimento è concluso da una Coda. Nel dettaglio, la prima variazione gioca con alcune fioriture pianistiche e una scrittura più polifonica, ma sempre in un contesto di grande semplicità e leggerezza; la seconda variazione presenta una figurazione per terzine di semiminime per moto contrario al pianoforte, mentre qualche nota del tema è trasposta di ottava al sassofono. La terza variazione, in do minore/mi bemolle maggiore, è costituita da una scrittura sostanzialmente a tre parti: il basso pianistico, che procede per amplissimi salti ascendendo e discendendo; l’accompagnamento alla mano destra, che procede solo in senso discendente con una figurazione di bicordo più nota; e la linea del sassofono, che – contrariamente all’articolazione pianistica, di costante staccato – si mantiene a un livello di più aperta e legata cantabilità, organizzata con qualche cambio di ottava (mis. 32). La quarta variazione vede il tema “occultato” dalle figurazioni di crome al sassofono, più le terzine di crome degli arpeggi discendenti al pianoforte: in questo caso il rapporto di emiolia indica, in senso propriamente rina-scimentale, il rapporto tre a due. La quinta variazione ha un piglio più drammatico con le perentorie scale di semicrome pianistiche (con “appoggiatura” su una croma) in combinazione, a mani sempre alternate, con pesanti accordi; su questo sistema di accompagnamento si imposta il tema della Ciaccona, anche stavolta “mascherato” dalla continua figurazione in terzine di semiminime (e anche qui è presente l’emiolia nella sua accezione preclassica). La sesta variazione è l’unica che presenti un andamento agogico diverso (“Poco meno”, mis. 61): è anche l’unica volta che il tema è affidato al pianoforte (ottave e bicordi alternati alla sola mano destra), mentre l’accompagnamento, in una scrittura generale a tre parti (in cui il tema è alla “voce” intermedia), viene realizzato dagli arpeggi discendenti del sassofono e ascendenti alla mano sinistra del pianoforte, in continua alternanza. Il “Tempo I” è subito ristabilito nella settima e ultima variazione, la più spiritosa e ironica del gruppo: come la terza varia-zione è in una tonalità diversa da quella iniziale (in questo caso re minore/fa maggiore), e il gioco pianistico è impostato sulla mano destra, che continuamente scavalca la sinistra per creare un gioco di “botta e risposta” fra il basso e una sorta di contro-tema che emerge all’ottava acuta dello strumento a tastiera. Unico caso riscontrato, la struttura metrica chiusa e rigorosa viene dilatata con l’inserzione di sei battute in tempo 4/2 dopo il quarto sistema 3+5/2, come preparazione a una ripetizione dello stesso modulo per coppie prima della coda 3+3/2 – si tratta di una inserzione che genera un effetto notevole, per la sua particolare diversità di accentuazione e per il senso di ampliamento della struttura, che acquista ariosità e slancio preparandosi alla maestosa e drammatica Coda conclusiva (miss. 95-106), in cui il tema di Ciaccona è ripetuto, con fioriture sassofonistiche “in stile” (neobarocco), sugli arpeggi pianistici potenziati, raddoppiati e dilatati.
Dopo la libertà formale del primo tempo e la citazione dell’antica forma per variazio-ni, il finale della Sonata JS 134 si presenta come un “classico” rondò-sonata, in cui la macroforma ABA’ (che intercetta lo schema sonatistico) presenta, a incorniciare uno sviluppo che “sviluppo” chiaramente non è, due sezioni più liberamente costruite. La scansione ritmica presenta una ambiguità generale di lettura (6/8 e 3/4), oltre a vari spostamenti di accento che conferiscono unità e dinamismo all’intero movimento. Il tema principale, che è poi il ritornello del rondò, si articola in otto battute e termina in fa maggiore: segue un episodio in cui le batterie di accordi al pianoforte fanno da sfondo a una coppia di melodie molto simili, l’una “ombra” dell’altra, al sassofono e alla mano destra dello strumento a tastiera: tale piccolo tema è reiterato con trasposizioni fino a sfociare in un altro episodio (miss. 26-34) che ricomparirà altre volte nel corso dello svolgimento, e che si alterna ad altri episodi secondari (es. miss. 34-44). Il ritornello-motto ricompare alle miss. 38-65; segue un più articolato episodio (miss.66-83), che contiene piccole “memorie” di momenti uditi in precedenza e rimontati con taglio piuttosto “cinematografico” e che ha la funzione di preparare la sezione centrale B, in cui cambia l’articolazione pianistica (arpeggi discendenti) e si sviluppa una melodia più estesa, a valori più lunghi, con la caratteristica inserzione del gruppo irregolare della duina di semiminime e un carattere leggero e circense. Alla scorrevolezza di questo episodio segue un episodio più accordale e violento (miss. 127-136), di cui però si è avuto, del tutto di sfuggita, un piccolo anticipo alla mis. 102 – questo gioco di richiami improvvisi, di memoria, di feedback, è una delle caratteristiche di Schittino e in generale di quella generazione di giovani compositori che intendono porsi in maniera “attiva” (non “reattiva”), nella prassi post-modernistica della citazione, sia essa intesa in senso teatrale o semplicemente musicale (“al quadrato”, avrebbe detto Stravinskij). Tale coppia di blocchi di diversa estensione e di caratteri contrastanti può essere letta come una coppia tesi-antitesi, di servizio al sistema di Hegel più o meno come sarebbe stato in una normale forma sonata. La ripresa della macrosezione A (con gli episodi presentati in diversa successione) presenta alcune inserzioni significative, come l’elemento di raccordo delle miss. 170-179 che non era mai stato presentato in precedenza ma contiene un formulario armonico che può essere rintracciato nel primo movimento della Sonata: riecco il ritornello-motto, completo delle sue due estensioni per batterie di piccoli accordi pianistici e ambiguità ritmica di sapore vagamente jazzistico (miss. 180-212). La coda conclusiva è articolata in due distinti episodi: uno in cui la scorrevole, regolare figurazione del sassofono è sostenuta dalle armonie pianistiche in un contesto in cui l’ardore ritmico sembra improvvisamente essersi placato; e l’altro (miss. 221-232) in cui lo slancio del pianoforte è il punto di partenza per il rapido finale, di grande brillantezza, in cui il poderoso accordo, le volatine di scale e i tremoli del sassofono contribuiscono a creare un gesto finale improntato a una grande gioia e luminosità.»


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