IL SAXOFONO ITALIANO

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di Bruni Tedeschi, Alberto

Paolino, la giusta causa e una buona ragione

O.+ 3Sx - 1976 - 48' - Edizioni Suvini Zerboni - P8218

Dettagli opera

Opera in un atto su libretto del compositore per orchestra (1.1.2.1. - 0.1.1.0. - 3 Sax. - Pf. - O. [Hammond] - Xil. e Vibr. [1 es.] - 4 Tp. - Perc. [Pt., Tamb., C., Tam., Tavoletta, Ps., Tbl.,] - A.: 6.6.4.3.2.) e tre attori che impersonificano i tre personaggi: Paolino - coltivatore di fiori (e beone); La giusta causa; Una buona ragione.
Prima a Spoleto, per il Festival dei Due Mondi, il 26.6.1976 sotto la direzione di D. Agler.
Da quest’opera è stato realizzato anche un film per la regia di François Reichenbach, interpretato da Charles Aznavour, Valeria Bruni Tedeschi e Isabel von Karajan.


Commento all'opera

«Paolino non è un personaggio, nè tale ho desiderato che fosse.
Esso è un’ astrazione, un modo di pensare di vedere le cose in una certa maniera: il suo linguaggio è quello di tutti noi, denota, se si vuole, un certo acume ed una certa cultura, cosa per lo meno strana in un coltivatore di fiori per di più beone. Ma, il primitismo dell’uomo, se applicato al linguaggio, l’avrebbe snaturato, trasformandolo proprio in un personaggio reale e cioè il contrario di quello che io ho voluto rappresentare.
Dunque, Paolino, parla di sè e degli altri, rifiuta il “consumismo”, il mondo attuale in altre parole, quale tutti noi, anche lui, lo intendiamo; se ne infischia della conquista della Luna e del progresso. È melanconico perchè la melanconia è connaturata alla sua natura, si sente solo e se la sente salire da dentro questa melanconia, senza avere la forza di ribellarsi, anzi, isolato e caparbio, vuole rompere i ponti con tutti i suoi simili.
È in definitiva un misantropo. Crede di non essere mai veramente nato e vissuto come gli altri ed ha in proposito una rozza dottrina panteistica. Egli ha per di più capito una cosa: più resterà solo, più la sua droga lo possederà (e tanto i fiori che il vino sono la sua droga), più egli sentirà la necessità irrinunciabile fino alle estreme conseguenze di abbandonare gli uomini ed avvicinarsi agli animali: desidererà diventare animale in mezzo a loro, di vivere la loro vita. Egli vuole tornare insomma, ingenuamente, alle origini del mondo: essere “l’unico uomo vivente su questa terra” per poter liberamente vivere con i suoi gatti o le sue pecore, gatto fra gatti, pecora fra pecore e poter seguire la loro sorte e capire il loro linguaggio. Questa sua tendenza si riallaccia, se si vuole, a certi modi di pensare “hippies”, ed a certe dottrine contemplative indiane.
Vi sono altri due personaggi nel lavoro: La giusta causa e Una buona ragione: esse accompagnano Paolino nell’ultima notte della sua vita, ma in verità La giusta causa gli è stata vicino sempre e con lui ha condiviso i suoi lunghi giorni solitari. Una buona ragione, comparirà solo l’ultima notte, poichè esse rappresentano le sue due Parche: la giusta causa ha filato la canapa della vita di Paolino fino al termine della conocchia, una buona ragione arriverà solo per recidere il filo.
Io ho conosciuto Paolino, anzi lo conosco perchè ancora vive e lavora (il suo mestiere è proprio coltivatore di fiori). Anche sua madre credo sia ancora viva. Ha sempre bevuto smodatamente, Paolino, ma ora credo che i medici abbiano ridimensionato il suo vizio e questo lo ha reso ancora più triste e taciturno. Qualche volta vado a trovarlo, su alla serra, gli domando qualcosa, qualche informazione sui fiori che sta coltivando: quasi non mi risponde: si tocca il berretto (che tiene sempre in testa e di sghimbescio) con due dita, in segno di un certo rispetto e per salutarmi e mi guarda come stranito, coi suoi occhi a mandorla affondati nel viso rugoso. È come trasognato. Cosa pensa, come vive?
Me lo sono sempre domandato senza mai poterlo capire, o meglio comprendo che il suo silenzio caparbio, la sua tetraggine nascondono un certo modo di interpretare la vita, la sua vita, in una maniera del tutto diversa da come noi tutti la intendiamo.
E così è nato Paolino: io ho fantasticato su di lui: egli ha accompagnato i miei lunghi voli di un viaggio massacrante, ha consolato le mie notti, talvolta insonni per i frequenti cambiamenti di fuso orario.

“Paolino” è nato per essere un lavoro musicale, ma forse questa musica non verrà mai scritta. Il testo mi ha preso talmente la mano che forse per me è ormai difficile ridimensionarlo onde adattarlo ad una vera e propria opera in musica. È perciò probabile che rimanga così com’è. Esso rappresenterà un mio piccolo “sogno di mezza estate”: la musica che mi nasceva dentro, mentre scrivevo il testo, se ne andrà per l’aria come è venuta.

E di Paolino non resterà che il ricordo». (Alberto Bruni Tedeschi, Agosto 1975)


 

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