IL SAXOFONO ITALIANO

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di Cardini, Simone

Il suffit de se laisser aller à être

Voce T Ch.el Vc - 2020 - 12’ - Edizioni Suvini Zerboni - 16270 P. 16271 Mat.

Dettagli opera

Per voce femminile, saxofono tenore, chitarra elettrica e violoncello su un testo di Antonin Artaud.

Il Festival di Milano Musica ospiterà il 23 novembre 2020, nella Sala Shakespeare del Teatro Elfo Puccini la prima esecuzione assoluta di Il suffit de se laisser à être per voce femminile, saxofono, chitarra elettrica e violoncello su testi di Antonin Artaud, affidato alla voce di Irina Ghivièr e al Trio SEV. 

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Tra marzo e aprile 2021 verrà prodotto il video di Il suffit de se laisser aller à être per voce e trio, con Irina Ghivièr e il SEV trio (sax tenore, chitarra elettrica e violoncello), in collaborazione con il Festival Milano Musica che avrebbe dovuto ospitarne la prima esecuzione il 23 novembre 2020. In primavera ne è prevista un’esecuzione dal vivo a Tel Aviv sostenuta dall’Istituto di Cultura Italiano.


Commento all'opera

«Una considerazione consapevolmente stanca, espressa nei versi iniziali, fa emergere l’immagine di un essere umano (una donna) che sviluppa la propria personalità attraverso una continua necessità di mitigazione e controllo dell’istintività. Apice di questo processo è proprio la creazione della parola; come se il pensiero compiuto si smarrisca nell’atto di estrinsecarsi nel parlato, o nel canto. Nel dialogo con l’ensemble e le sue cangianti sonorità s’intuisce una nuova, sotterranea possibilità (sospesa, frammentata, violenta, fisica), di quel corpo imbrigliato in pastoie mentali e svuotato del suo pensiero: è il parossismo della denuncia della separazione. La voce diventa così l’organo essenziale di un corpo che cerca se stesso in questi movimenti innervati, e la parola è una parola che quasi tende a distruggere se stessa, ritrasformandosi e confrontandosi con un gesto che genera nello spazio la forma esterna della parola stessa per ritrovare un corpo senza più lacerazioni, divisioni e funzioni separate: è quell’osso che Artaud stesso ci dice sia necessario per vivere, mentre per esistere basta lasciarsi andare a essere». ESZ News 82 10/2020.

Il compositore riflette in questi termini sul nuovo lavoro: «Una considerazione coscientemente stanca, espressa nei versi iniziali, fa emergere l’immagine di un essere umano (una donna) che sviluppa la sua personalità attraverso un continuo bisogno di mitigazione e controllo dell’istinto. L’apice di questo processo è la creazione della parola; come se il pensiero compiuto si perdesse nell’atto di esprimersi nel discorso o nel canto. La voce è sempre più frammentata tra canto, parlato e sussurrato al punto da essere stordito e rapito dalla forza di un solo movimento, un gesto isolato. Fermato il mondo, la voce e l’ensemble sono in relazione al silenzio e a quelle esperienze vocali (fonemi, ruggiti, pianti soffocati, ecc…) prima dell’uso del linguaggio formalizzato. L’insieme, dopo aver esposto le cellule che costituiranno il tessuto dell’opera, fa emergere dal silenzio i primi gesti più strettamente inarmonici. Il suono riemerge aggressivo, violento: enfasi del gesto (sviluppato contrappuntisticamente o isolato), del grido (muto oppure urlato), del corpo: quel corpo, impigliato nelle catene mentali svuotate del suo pensiero, è la denuncia di una separazione. L’ensemble reagisce con un suono aspro, acido, e un ritmo convulso mentre la voce, con la sua violenta carica esplosiva, è l’occasione per recuperare il corpo: la voce diventa così l’organo essenziale di un corpo che si cerca in questi movimenti innervati: un momento che non si limita a illustrare questa fondamentale dicotomia in cui far emergere qualcosa che non si calma nella voce o nelle parole: una parola che tende quasi ad autodistruggersi, ritornando e confrontandosi con il gesto e un gesto che genera nello spazio la forma esterna della parola per trovare un corpo senza lacerazioni o funzioni separate. La fine del brano è la trasfigurazione e il ricordo dell’inizio». ESZ News 83 2/2021


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